La scheda di Marco ‘Kino’ Belloni

Data di nascita: 17 agosto 1975

Città: Cortemaggiore

Lavoro: Artista

Squadre: Aquilotti 2014 , Aquilotti 2015 , Gruppo scuola de Gasperi, Microbasket

Ruolo: Istruttore

 

Ciao Marco. Tutti ti conoscono quale istruttore, forse non tutti conoscono la tua vena artistica? 

«La mia passione per la street art ed il mondo del writing è nata all'età di 12-13 anni, quindi fine anni '80. Un giorno, un amico con cui andavo in skateboard, si presenta con un foglietto di carta su cui era disegnato il suo nome con lettere doppie e colorate a scacchi. In quel momento mi si è aperto un mondo nuovo, quello del writing. All'epoca non c'era internet, quindi anche venire a conoscenza delle cose era più complicato che al giorno d'oggi. Fino a quel giorno non avrei mai immaginato che si potesse ‘giocare’ con le lettere, modificandole e trasformandole, per rendere una scritta unica più fluida e colorata. Da quel giorno ho incominciato a provare a scrivere il mio nome in più modi possibili e anche a cercare altre informazioni su questo tipo di arte, scoprendo che esistevano alcune riviste dove si trovavano le foto dei murali e gli articoli riguardanti i vari artisti. Trovavo queste riviste, soprattutto straniere, ed il materiale e vestiario riguardante l'hip hop in negozi particolari. Mi sono innamorato della scena hip hop writing, breakin ed ovviamente della musica rap. Quella americana naturalmente: Run DMC, Pubblic Enemy, Beastie Boys, Cypress Hill. Eppure all'epoca suonavo il basso in un gruppo punk hardcore con cui ho suonato alla prima edizione del festival Tendenze nel '95».

Ci racconti di più?

«Parlando della mia arte, come detto prima amo il writing, i murali, da qualche anno ho incominciato a portare i miei lavori e le mie idee su tela, sempre con le bombolette e utilizzando stencil, scoach di carta e colori complementari. Dal 2019 ho iniziato anche un progetto artistico dal nome Can Reload, ovvero puoi ricaricarti, che riguarda le bombolette ricaricate. L’idea, il concetto, è quello che tutti possono rinascere, anche se la nostra parte esteriore non cambia o si modifica leggermente, è la nostra parte interiore che si evolve fino a diventare qualcosa di meraviglioso, fantastico. Le bombolette di vernice spesso da vuote non hanno più valore, ma si possono trasforma in oggetti unici al mondo. La maggior parte delle bombolette utilizzate provengono dai depositi dei treni, dalle yard di tutta Europa, e quindi potresti avere un’opera fatta con una bomboletta usata da Banksy, 1UP Crew o WCA. Trasformare queste lattine vuote ed inutilizzate in qualcosa di nuovo e colorato da l’energia necessaria per il recupero, anche se spesso è pericoloso. Tutte le bombolette sono colorate con colori acrilici, fuse, incollate con colle bicomponenti, siliconiche, ed altro materiale plastico. Si può dire che sono stato il primo in Italia ed in Europa a fare questo genere di sculture uniche, che hanno una loro storia. Ultimamente anche nei quadri amo inserire elementi di riciclo fissati con resina epossidica. E da sabato 7 a domenica 22 dicembre, ci sarà una mia opera esposta alla mostra collettiva Inside Artist a palazzo Farnese a Piacenza».

Poi c'è naturalmente anche la pallacanestro. Come ti sei approcciato al gioco?

«Il basket mi è sempre piaciuto, ma abitando in un paesino della provincia di Piacenza non sono riuscito a praticarlo da bambino ma solo da più grande. Nel 2000 ha fatto il corso da allenatore di base, ed ho cominciato a fare il vice con il settore giovanile del Roveleto Basket. Nel 2012 ho invece fatto il corso da istruttore minibasket, perché negli anni ho capito che preferivo allenare i bambini piuttosto che gli adolescenti. Negli anni ho allenato a Roveleto, Cortemaggiore, Carpaneto, e dal 2016 faccio parte della grande famiglia Bakery. Ricordo ancora la chiamata telefonica da parte di Simone Zamboni (oggi club manager della società biancorossa, ndr) quando ero a fare l'istruttore al camp in Trentino. Per me è stato un grande onore ed orgoglio essere chiamato a collaborare con la società di basket della città di Piacenza».

Ma a basket hai pure giocato?

«Ho giocato a Cortemaggiore, nel Basket Corte dalla Prima divisione fino alla promozione in Promozione, poi ho giocato qualche anno nel campionato Csi prima di fermarmi perché sono andato a vivere da solo ed il tempo a disposizione si è ridotto».

Ma hai un vaga idea di quanti bambini hai allenato?

«Facendo un calcolo approssimativo, tra progetti nelle scuole, corsi pomeridiani  e camp vari potrei aver allenato e conosciuto tra i 4000 e i 5000 mini atleti».

Ti ricordi qualcuno in particolare, che magari ha avuto una carriera senior?

«Così su due piedi non è facile dire dei nomi. Uno è Francesco Villa che ha completato le giovanili a Milano ed è stato anche convocato in Eurolega, e che ho rivisto come avversario della prima squadra un paio di anni fa. Poi ci sono Edoardo Pescatori, che si allena con la serie B, il coach ed istruttore Alex Monti, il massaggiatore della prima squadra Alberto Bubba, ed anche il preparatore fisico delle giovanili Francesco Righi, nonché giocatore in Divisione regionale 1 con il Piacenza Basket Club».

Come reputi la pallacanestro dal punto di vista di attività formativa? 

«Penso che il basket sia uno sport completo perché utilizzi tutte le parti del corpo. Poi è un gioco che ti porta a guardare verso l'alto perché per fare canestro devi mirare e tirare la palla verso il cielo, soprattutto quando sei bambino».

Che legame c'è tra la pallacanestro e l'arte?

«Sicuramente c'è un legame stretto tra il basket e l'arte perché come un pittore compie dei gesti con i pennelli o con le bombolette per dipingere, allo stesso tempo anche un cestista compie azioni per poter arrivare o far arrivare a canestro un compagno di squadra. Anche solo la lavagnetta del coach, dopo un timeout, non ha nulla da invidiare ad un quadro di un pittore o disegnatore».

Il tuo nome d'arte ha una storia?

«Il soprannome e nome d'arte Kino ha origini sin dall'asilo. Essendoci due bambini di nome Marco  scuola, la suora per distinguerci ha incominciato a chiamarmi Marchino per la mia statura. Questo nomignolo è rimasto fino alle scuole medie, quando appassionatomi della cultura hip hop, mi serviva un nick name. Quindi ho tagliato il mio soprannome e tenuto solo l'ultima parte, Chino appunto, che per comodità si è trasformata in Kino, per poi scoprire che in molte parti d'Europa Kino significa cinema, grandissima coincidenza».

Coincidenza con cosa?

«Per diversi anni ho seguito come cameramen i Da Move, la crew di basket freestyle e schiacciate, attivi dal 2000 con spettacoli, esibizioni e show in tutto il mondo. Con loro nel 1999 ho visto il McDonald's Championship al Forum di Assago con protagoniste squadre come i San Antonio Spurs e la Pallacanestro Varese, ed altre squadre europee ed internazionali».

Ma il basket lo insegni solo o lo guardi pure?

«Preferisco l'Eurolega rispetto alla Nba, ma solo per la tecnicità dei giocatori. La Nba è molto spesso un grande spettacolo per intrattenere, mentre in Europa vedi l'essenza del gioco, la tecnica. Se guardo la Nba è per l'All Star Game ed il Saturday night per la gara delle schiacciate. Il mio giocatore preferito è Dennis Rodman, di cui ho letto diversi libri».

E a proposito d'insegnare, qual è il tuo metodo? 

«Sicuramente per i più piccoli aiuta trasformare gli esercizi in giochi perché facendoli divertire si possono insegnare i fondamentali della pallacanestro che un giorno gli serviranno per diventare giocatori completi. Mi sono anche accorto che oggigiorno i bambini hanno una soglia di attenzione e concentrazione minore rispetto ai bambini che ho allenato 10 anni fa. Alcuni giochi o esercizi che facevo una volta, oggi i bambini non riescono a farli».

Come valuti l'utilizzo della musica per scandire i ritmi di un allenamento?

«Penso che in  alcune parti di una sessione di allenamento, la musica possa aiutare negli esercizi di palleggio e per dare intensità alle lezioni. Questo serve per creare ed allenarsi con ritmo, sia per i più piccoli che con i più adolescenti».

 

Ufficio Stampa

Bakery Basket Piacenza

Giovanni Bocciero

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